Tappa spagnola, per socceroad, per conoscere da vicino i segreti di una cantera, da Madrid sponda Atletico l’ospite è un amico conosciuto durante una delle mie avventure nordamericane
Sergio Recas è un collega, un giovane allenatore che da sempre lavora con i giovani calciatori iberici, nella sua Madrid è cresciuto e si è formato come allenatore.
Conosciamolo meglio, ripercorrendo anche le esperienze vissute insieme e andiamo a scoprire i segreti del suo cammino nei campi di calcio spagnoli e non solo!
“Ho iniziato nel 2007, anche se ho da sempre giocato a calcio, il calcio è stato fin da piccolo la mia passione. A dire il vero in origine facevo l’arbitro e devo dire che mi piaceva molto, poi sono rimasto un po’ deluso da alcune situazioni e ho deciso di cambiare ricominciando dalla panchina. Ho avuto la fortuna di farlo direttamente nella scuola calcio dell’Atletico Madrid, che cura l’allievo sia dal punto di vista calcistico che scolastico, a tutti livelli”.
L’Atetico Madrid: raccontaci questa cantera
“Essere in un top club è un grande privilegio e non ha nulla a che vedere con un club di medio o basso livello: l’Atletico ha proprio una scuola dove i ragazzi di tutte le età studiano e poi vanno in campo, ci sono tutte le condizioni e i mezzi per lavorare in maniera completa e con qualità. In più un’altra componente fondamentale per me e per la crescita dei ragazzi è quella dei tanti viaggi e dei tanti tornei, nazionali e internazionali, di alto livello che facciamo!”.
LA PILLOLA
…”L’ esperienza in Giamaica mi ha insegnato molto, facendo venire fuori i veri valori umani: ti da’ la possibilità di avere diversi punti di vista e ti fa rendere conto delle grandi differenze di mentalità, dei mezzi che si hanno a disposizione e sono occasioni che ti arricchiscono molto a livello personale…!”.
Proprio i viaggi hanno permesso di conoscerci
“Ho molti bei ricordi del Canada, come degli Stati Uniti e della Jamaica: in Canada, ho avuto l’opportunità di crescere tanto conoscendo e lavorando con grandi allenatori di altri paesi, come con te Federico (Turriziani), l’International Camp mi ha permesso di condividere esperienze, di avere un confronto e migliorarmi sia a livello personale che professionale. Anche a Boston, dove sono stato 20 giorni lavorando in un’accademia, ho capito e vissuto un’altra cultura… Ma quella che mi ha dato di più a livello umano è stata la tappa giamaicana”.
Raccontaci della Giamaica, che mondo è?
“E’ stata un’esperienza incredibile, rispetto all’Europa e al Nord America i ragazzi sono molto poveri, non hanno niente, per farti capire al termine del percorso gli abbiamo regalato le nostre scarpe e le nostre divise. La location dove allenavamo era immersa in un contesto paesaggistico molto bello, con una vista incredibile, anche se un po’ trascurata, era come se fosse tutto molto antico. Fisicamente i ragazzi sono molto predisposti, sono forti, ma tecnicamente e tatticamente devono lavorare ancora tanto. E’ stata un’esperienza che mi ha insegnato molto, facendo venire fuori i veri valori umani: avere la possibilità di avere diversi punti di vista di vari Paesi ti fa rendere conto delle grandi differenze di mentalità, dei mezzi che si hanno a disposizione e sono occasioni che ti arricchiscono molto a livello personale… Mi ritengo molto fortunato di poter vivere e lavorare nel calcio in Europa, specialmente nell’Atletico Madrid”.
Esperienza bella e forte. Pensi che quei ragazzi possano essere paragonati ai nostri di 30/40 anni fa?
“A differenza di Stati Uniti o Canada, quei ragazzi hanno più passione per il calcio, giocano con quello che hanno e lo fanno con molta determinazione. Credo che 30/ 40 anni fa i nostri ragazzi erano diversi, meno forti, questi ragazzi hanno struttura e mentalità, sognano di giocare in Europa, bisogna però lavorarci molto, sia a livello tecnico che tattico, spesso non sanno gestire bene la palla e si perdono a trovare le soluzioni in campo”.
Che differenze ci sono tra il calcio spagnolo e quello degli altri posti dove sei stato? Stati Uniti, Canada, con quello italiano?
“Il calcio italiano lo conosco solo dalla TV, non ho mai avuto la fortuna di poter partecipare a nessun camp o torneo in Italia, credo comunque che sia simile a quello spagnolo sul piano professionale e di formazione degli allenatori. Me ne sono reso conto anche dopo aver conosciuto te, Federico, ci siamo confrontati molto… Credo che sia una questione di cultura, ce l’abbiamo dentro sin da piccoli e ci cresciamo, cosa che non succede invece dall’altra parte dell’oceano. Spesso in Nord America il calcio non è lo sport principale, non hanno questa cultura; hanno i mezzi economici e strutturali ma manca la cultura, la mentalità, è questa la grande differenza che anche parlando con te è emersa!”.
Come stai vivendo questo periodo e cosa ti aspetti dalle prossime settimane e dai prossimi mesi?
“Sono già un paio di anni che sto facendo bene nel campionato División De Honor: ora il prossimo step è dare a questi ragazzi di 16-17 anni, quello che manca per farli arrivare in prima squadra! Già sono dei professionisti a livello di metodologia di lavoro: in questo periodo li seguo tramite sedute di allenamento online su Skype o Zoom, dandogli compiti da fare non solo fisici, ma anche teorici e cognitivi, come provare ad analizzare partite o sostenere interviste. Ritengo sia molto importante tenere gli atleti sul pezzo e allenati non solo fisicamente. Noi continuiamo a fare il nostro lavoro anche con la speranza di poter finire le 5 partite rimanenti ma la sensazione è che la stagione sia terminata”.
Il soprannome più comune dei giocatori è quello di colchoneros, alla lettera “materassai”, in quanto il colore e la foggia delle uniformi della squadra erano analoghi a quelli delle tele che all’epoca rivestivano i materassi. Altri soprannomi sono rojiblancos (rossobianchi) e indios.
Avevi progetti e obiettivi per l’estate e la prossima stagione?
“Avrei voluto continuare ad allenare i ragazzi fino a giugno poi ero già d’accordo con Josè Garrincha, direttore tecnico di un’academy di partecipare all’International camp in Canada: ora come ora credo sia impossibile, mi auguro solo che tutto questo finisca presto, che non muoiano tante altre persone e che presto si possa tornare alla nostra vita normale, ricominciando da agosto la nuova stagione”.
Parliamo di cose da mangiare, tu sei un bravo cuoco? Qual è il tuo piatto preferito della cucina italiana e della cucina Spagnola?
“Non è perché sto parlando con te, ma l’Italia mi piace molto, abbiamo culture simili: sole, allegria e con tanta storia, opere d’arte, turismo e tanto mangiare… A chi non piace la cucina italiana?! Pizza, pasta, non posso scegliere un piatto, mi piace tutto, l’Italia, la sua cucina, le italiane!”.
E anche qui in Spagna, cucina mediterranea buonissima, se dovessi proprio scegliere un piatto dico Cocido Madrileno: è una zuppa di ceci e carne, come lo fa la mia mamma, è quello che mi piace di più”.
Il cocido madrileño è uno stufato a base di ceci, vari tipi di carne, insaccati e verdure cotti a lungo a fuoco lento. E’ un piatto eccezionale e rappresenta una vera e propria istituzione a Madrid; una pietanza antichissima eppure ancora fortemente radicata nella vita quotidiana del madrileno moderno
Tornando alla tua carriera: da arbitro ad allenatore, come sei cambiato dall’inizio ad oggi, in cosa devi ancora migliorare?
“Il Sergio di ieri era più passionale e impulsivo, sia come giocatore che poi come arbitro e allenatore; con gli anni ho acquisito più tranquillità, un’altra visione delle cose, più pacatezza e pazienza per raggiungere i risultati senza fretta. L’esperienza poi insieme all’aver lavorato accanto ad allenatori importanti mi ha dato la maturità necessaria per affrontare le prossime sfide nel migliore dei modi. Chiaramente devo migliorare molto, c’è gente sempre più preparata e siamo in formazione continua, allenamento dopo allenamento: ogni volta che posso frequento corsi sia della Federazione madrileña che della Federazione spagnola, credo di aver ancora tanto da imparare. Penso sia questa la giusta ricetta: formarsi, fare le proprie esperienze e confrontarsi sempre con grandi professionisti come te 🙂 viaggiando e mantenendo l’umiltà… Questa secondo me è la formula vincente!”.
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
“L’obiettivo era diventare allenatore professionista e dedicarmi solo a questo: nel tempo mi sono reso conto è molto difficile, come tu ben sai, riuscire a emergere. Gli allenatori sono quasi tutti ex calciatori di successo ed è molto complicato farsi largo: quindi ora il mio unico obiettivo è continuare a divertirmi dove sono ora, ho la fortuna di essere in un top club e partecipare al campionato giovanile División de Honor che è la tappa più vicina ad una squadra professionistica, poi vorrei continuare a viaggiare… E se dovesse arrivare qualcosa di meglio mi farò trovare pronto all’appuntamento!”.
Un’ultima cosa: da noi ora ha molto successo la serie TV “La casa di carta”, che ho letto che in Spagna non era molto piaciuta. Quale personaggio ti rappresenta?
“Mi piace molto, anche l’ultima stagione mi intriga, molta azione… Bella e poi è girata nella mia Madrid! Il personaggio in cui mi rivedo di più? Sicuramente Denver, uno impulsivo ma che cerca di trattenersi, anche se non sempre ci riesce…”.
Bello aver ritrovato a distanza di anni Sergio, ripercorrere le esperienze estere anche quelle in comune ha sempre un sapore particolare; dal caldo torrido di quell’estate canadese di ormai 4 anni fa di tempo ne è passato ma resta intatta la stima tra due colleghi come poche volte nel calcio accade.
Nella speranza di rivederci presto in qualche evento internazionale, ringraziamo e auguriamo un grande in bocca al lupo a Sergio Recas… Il Denver delle cantere!
Ringraziamo per la collaborazione Rachele De Santis per la traduzione live durante l’intervista e la trascrizione!
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LE COORDINATE DI SERGIO RECAS ROJO:
Sergio Recas Rojo, Madrid, è un allenatore di calcio spagnolo, attualmente lavora nel settore giovanile dell’Atletico Madrid.
– 2018/2020 CLUB ATLETICO MADRID – SETTORE GIOVANILE
– 2016/2018 ALCORCON – SETTORE GIOVANILE
– 2007/2016 CLUB ATLETICO MADRID – SETTORE GIOVANILE